Per le vie del vecchio borgo: Poggiorsini
Benvenuti nella piccola e ridente Poggiorsini. È una splendida giornata primaverile che illumina le morbide vallate al confine con la Lucania che si vedono sin qui. Il Belvedere, che sorge su quella che era la pineta un tempo, mi offre un paesaggio mozzafiato, da cui è possibile scorgere pezzi di storia qua e là, tra i tanti colori che vanno del verde intenso dei campi seminati, all'azzurro cielo, alle varie gradazioni del giallo delle ginestre nate spontaneamente, e del giallo ocra di quello che era il complesso del palazzo degli Orsini. Resti di un passato che fu e di un presente che vuol far rivivere, o per lo meno, valorizzare le antiche bellezze: giù per la vallata sottostante sono quasi ultimati i lavori per fronteggiare il dissesto idrogeologico; ora un romantico viale staccionato ti conduce nel bel mezzo della natura, cosi da godere appieno della spettacolarità dei tramonti estivi, quando il cielo si colora d'arancio. Respiro profondamente e sento i polmoni riempirsi di aria fresca e pura; intanto le rondini sono tornate e zinzilulano mentre si affrettano a costruire il loro nido sotto il tetto del palazzo di fronte; mi volto e lo sguardo coglie un po' più in là la bellezza dell'Arco d'ingresso al Vecchio Casale con su lo stemma degli Orsini. E ripenso al passato del mio paesello, territorio di conquista di vari padroni. Vecchio e nuovo si avvicinano: sul piazzale antistante sono sorti due locali, una birreria e un ristorante. M'incammino per il corso. Alla mia destra i resti dell'antico palazzo ducale, freschi ancora di restauro: u crtur. Tutte le spose del paese ci hanno fatto il loro servizio fotografico, ma anche tutti i turisti della domenica non possono farne a meno. D'estate in particolare questa parte vecchia si rianima con le manifestazioni culturali organizzate dalla Proloco, con il concerto della Festa della Madonna, con la sagra du gnumridd, con le commedie del gruppo teatrale del posto. E soprattutto con la gente che torna dal nord, i cosiddetti ciaunè, cosi come li chiamavamo noi ragazzini per indicare i compaesani andati a vivere nel nord Italia, che riaprono le porticine di questo vecchio borgo per passarci le vacanze estive. Intanto per strada il panettiere richiama con il clacson le signore al loro dovere di brave matrone; il fruttivendolo, arrivato dalla vicina Ruvo di Puglia, urla per vendere frutti e chiacchiere; il contadino orgoglioso dei prodotti della sua campagna apre il cofano della sua macchina esponendo all'amico le primizie, che poi non potrà fare a meno di regalargli; l'impicciona di turno schiamazza per richiamare l'attenzione della passante e fare quattro chiacchiere. Segni questa di una micro economia che anima il paese. Ed infine le campane dell'unica chiesa presente nel paese che ricordano il passare delle ore. Suoni, odori e sapori di un tempo che, a tratti, sembra sempre uguale a sé stesso.
Alcuni dati: 1525 anime, con 51 stranieri, a 483 m sul livello del mare, a 60 Km dal capoluogo Bari, si trova sulla cima di una collina della Murgia barese, il più piccolo comune della provincia di Bari, al confine con la Basilicata, clima temperato.
Ma Poggiorsini è molto di più. Nel suo nome si racchiude la storia di un popolo che ha vissuto e subìto, anche passivamente, il colonialismo feudale e aristocratico, nella convinzione che ci fosse sempre un prezzo dovuto a colui che si poneva a difesa della propria terra. E poi ancora le piaghe della miseria, i terremoti, le devastazioni. Camminando per le strade del paese, quando ti fermi vicino al Municipio e osservi il grande stemma in ferro battuto, ci si rende però conto che ad un certo punto la storia l'hanno fatta gli abitanti del posto, i nostri padri, nel momento in cui hanno deciso di impugnare i propri diritti per prendersi la propria identità e la propria autonomia.
A spasso nella Storia
Monte Folicato, Macchia Vetrana, e dunque Poggiorsini. Padroni che si sono avvicendati insediandosi in un territorio fertile e in una posizione strategica, atta a controllare le principali vie di transito tra la Puglia e la Basilicata, crocevia di uomini, merci e animali.
Dai ritrovamenti degli antichi insediamenti di Grottellini e di Castel Garagnone, si deduce il popolamento di questa zona sin dal Paleolitico. I primi indigeni pastori e cacciatori murgiani, furono costretti a rifugiarsi nel momento in cui giunsero i colonizzatori provenienti dalle sponde opposte dell'Adriatico, dall'Oriente e dal Nord-Africa. Fu poi la volta degli italici Sanniti e Romani, quindi dei Longobardi e Normanni. Con quest'ultimi si diffusero le case dei Cavalieri Templari a Monte Folicato prima e dei Cavalieri Gerisolimitani poi. Con la fine dei templari la futura Poggiorsini ebbe nuovi padroni: funzionari angioini, notabili amministratori dell'università e signori di Gravina. Il maggior possessore fu senza dubbio Jaquinto. E poi ancora altre famiglie d'Oltralpe. Fino a quando i padroni indiscussi divvenero gli Orsini.
Di Poggiorsini in quanto villaggio si iniziò a parlare nel 1726 con la costruzione della parrocchia e il dominio dei nuovi padroni: gli Orsini. Fu allora che da insediamento rurale si iniziò a parlare di Poggiorsini in quanto comunità che viveva in un piccolo centro urbano e che aveva tutto ciò che poteva servire: il palazzo ducale, il forno, il mulino, l'osteria, la parrocchia, il mattatoio. E poi ancora servizi pubblici come la scuola elementare, la caserma dei carabinieri, l'ufficio postale e dello stato civile, e la residenza del medico condotto, costruzioni ritenute abusive dai gravinesi. Il duca tuttavia non demolì mai tali opere. La fine del Feudalesimo nel1810, colpì anche gli Orsini che persero sia il feudo di Gravina che il territorio feudale di Poggiorsini. Ma il tramonto degli Orsini fu anche accompagnato da indebitamenti e atti illeciti. Nel 1907 le proprietà della famiglia vennero vendute all'asta. Poi il terremoto del Vulture del 1930 distrusse gran parte del palazzo ducale. Con il declino della casata degli Orsini, Poggiorsini diventò una masseria come tante altre. Pian piano le terre furono date in fitto a cooperative Poggiorsinesi e a privati. Cosi quelli che erano stati vecchi coloni divennero proprietari. Iniziò una nuova storia per Poggiorsini, quella di frazione del comune di Gravina. Pian piano gli abitanti del paesello iniziarono a sentire tutto il peso di un'appartenenza quasi forzata al comune di Gravina: scarso, da parte di questo, era infatti l'interesse per i problemi che pure attanagliavano la vecchia borgata, non da ultimo un impellente bisogno di igiene pubblica. Con Domenico Cirasole, membro del consiglio comunale di Gravina, con delega di vicesindaco di Poggiorsini, iniziò il lungo percorso per la conquista dell'autonomia e della propria identità. La prima richiesta presentata al commissario prefettizio di Gravina, nel corso del 1922, rimase lettera morta, anche per il sopraggiungere degli eventi bellici. Dal 1947 in poi la richiesta divenne una vera e propria esigenza della popolazione tutta, decisa a farsi sentire anche con petizioni e proposte di legge. Dopo anni di richieste più o meno urlate, nel 1957 a Poggiorsini venne finalmente riconosciuta l'autonomia amministrativa dalla città di Gravina e, dal 1960 ha uno stemma e un gonfalone di comune d'Italia e d'Europa, oltre che un suo territorio.
Oggi
Oggi Poggiorsini è fatta da uomini e donne che lottano quotidianamente per non abbandonare la terra natia, che non si lasciano sopraffare dal desiderio di lasciare tutto e ricominciare da un'altra parte. Tanti sono i ragazzi che terminato il ciclo di studi, il più delle volte svolto fuori dalla propria regione, ritornano speranzosi di dare il proprio contributo affinchè si possa avere la svolta per Poggiorsini. E questo perché tante sono le potenzialità che racchiude questo territorio, cosi come già avevano intuito gli Orsini intenzionati a farne una località turistica. Oggi Poggiorsini vive dell'ingegno di quanti hanno saputo reinventarsi leggendo i bisogni della comunità: bed&breakfast, pub, ristoranti, birreria, pasticceria, forno, vecchie masserie ora rinate in agriturismo. Tutto atto ad accogliere un turismo che non è solo estivo, ma è soprattutto del week end. Poggiorsini non è una terra morta, o addirittura il "Texas", come molti vicini amano più o meno simpaticamente epitetarla, per sottolinearne l'estrema calma e silenziosità. Ieri come oggi è animata da gente che spreme le meningi per conquistarsi un' autonomia diversa. Poggiorsini inoltre è parte del Parco dell'Alta Murgia, una realtà giovane che ha tanto da offrire agli occhi di un visitatore attento, che vuole fare delle escursioni e perdersi tra gli ampi panorami della Murgia, catturato dalla bellezza della fioritura degli asfodeli e mandorli selvatici in primavera e dei crochi e timo in autunno. Riconosciuto è poi anche il virtuosismo ambientale di questo piccolo comune che già nel 2012 ha visto riconoscersi (nel rapporto regionale di Legambiente) il premio Start Up per aver avviato nel periodo compreso tra il 2010 e 2011 un sistema di raccolta differenziata che ha permesso di raggiungere il 51,4% di differenziata. Ad oggi Poggiorsini è al quinto posto con il suo 65 % di differenziata, di gran lunga al di sopra dei suoi vicini.
Il culto, le tradizioni, la Festa della Madonna.
Si deve al duca Filippo Bernoaldo Orsini l'erezione della chiesa e parrocchia dedicata alla S. Vergine Maria dei Sette Dolori, che avrebbe sostituito la chiesa campestre che necessitava di restauro, dedicata a S. Antonio da Padova. Nel 1727 la nuova chiesa fu consacrata e gli abitanti ebbero finalmente il loro luogo di culto e di approdo, dopo le fatiche svolte quotidianamente nei campi. Con il terremoto del 1930 la chiesa subì gravi danni e l'intero complesso non fu più agibile. Nel 1937, tuttavia, Poggiorsini aveva già una nuova chiesa in cui si celebra ancora oggi il culto di Maria SS Addolorata dei Sette Dolori.
L'origine storica dell'elevazione dell'Addolorata a protettrice di Poggiorsini non è comprovata da alcun documento. Fa fede la leggenda e la tradizione.
Raccontano i vecchi del paese, secondo quanto a loro volta appresero dai vecchi di un tempo, che la statua dell'Addolorata fu ordinata a Napoli da un ricco possidente terriero di Spinazzola per una chiesa spinazzolese. La statua viaggiava su un carro trainato da buoi che dopo un lungo ed estenuante cammino fu colta da un violento temporale nei pressi di Poggiorsini. Il carrettiere fu costretto a rifugiarsi nella "Taverna" che, posta nei pressi dell'attuale stazione ferroviaria, come spiega una lapide posta all'epoca (1600), era un luogo di ristoro e cambio dei cavalli per i viaggiatori. Dopo il temporale però i buoi non vollero più andare avanti verso Spinazzola, nonostante le insistenze del conducente, ma prendevano spontaneamente ed insistentemente un tratturo che portava a Poggiorsini. Fu così che, venuti a conoscenza del fatto, i poggiorsinesi da quel momento vollero quale loro protettrice l'Addolorata.
Sino a pochi anni fa, in occasione della processione per le vie del paese della statua della Madonna, si svolgeva un'asta: vari gruppi di fedeli facevano a gara puntando cifre sempre più alte, per avere il privilegio di portare a spalla la statua. Il percorso dall'inizio del corso fino al serbatoio dell'acquedotto, 600 m circa, era segnato dal susseguirsi delle offerte, cui si accompagnava un continuo cambio dei "trasportatori a spalla" della statua. Solo chi riusciva a portare la statua fino all'entrata del paese (il serbatoio appunto), avrebbe potuto farlo anche per il resto della processione. Con il ricavato dell'asta poi si faceva fronte alle spese per l'organizzazione della festa. Questa pratica è stata poi bandita con decreto vescovile.
Attualmente, ogni anno, gruppi di fedeli con amore e dedizione, si riuniscono spontaneamente per organizzare i tre giorni di festività in onore di Maria SS Addolorata. Dal comitato del tabacco del 1999 (principale fonte di guadagno della gente del posto svariati anni fa) al comitato dei cinquantenni, al comitato dei quarantenni lo spirito è sempre stato lo stesso: osannare la protettrice. Tale festa attira ogni anno una marea umana proveniente dai paesi vicini che affolla le strade del paese in maniera sconcertante e allo stesso emozionante. Compaesani sparsi in tutta Italia tornano a casa per riunirsi in spirito di preghiera e di devozione. I tre giorni di festa sono scanditi dal ritmo della banda musicale Orsini e dalle Majorettes l'Arcobaleno, ragazzi e ragazze del posto che allietano sin da subito le strade del paese. E poi ancora bancarelle con dolciumi, prelibatezze, oggetti d'artigianato, esposizioni, musica, colori, allegria, fanno da quadretto al clima di festa.
Dietro l'applauso che accompagna i fuochi pirotecnici finali, dietro la festa, c'è però un lungo lavoro da parte del comitato in carica, che sin dal mese di novembre si riunisce periodicamente per organizzare e raccogliere il contributo da parte di tutta la comunità e per cercare sponsor. Un lavoro totalmente gratis che viene ripagato dall'emozione di condividere il senso di appartenenza e di essere comunità, oltre che dalla propria fede.
Rosangela Stano